- Uno scettico miscredente
- Un ufficiale dal temperamento focoso e insubordinato
- Un ricercatore scrupoloso
Dopo una vita dissoluta, sfrenata e apatica, espulso dall’esercito per “indisciplina e sregolatezza di vita” incontra l’ISLAM e diviene: CERCATORE di DIO
Intraprende un cammino di permanente ricerca del “Dio unico”…..” nello stesso attimo in cui cominciai a credere che c’era un Dio, compresi che non potevo far altro che vivere di Lui, e imitarlo”
La Trappa
Nazareth
L’amicizia
L’Altro
La scoperta del Cristo, nel Vangelo, nell’Eucarestia e nel fratello (….”qualunque cosa fate a uno di questi piccoli l’avrete fatta a me”).
Dopo gli anni della Trappa in Siria e del lavoro contemplativo a Nazareth dalla Clarisse, - va a vivere nel deserto del Sahara “abbandonandosi completamente a Lui”… condividendo la vita quotidiana dei Tuareg apprende la loro lingua, diviene “COME LORO”cioè abbordabile facendosi della terra dell’altro perduto nell’oscurità e nella piccolezza. La sua firma era diventata “ frère Charles, piccolo fratello universale”
Muore assassinato il 1 Dicembre 1916.
“se il grano di frumento caduto in terra, non muore non porta frutto, se muore porta molto frutto”
Come piccola fraternità pellegrina, ma anche contemplativa - ricordiamo alcune sue frasi belle:
“pregare è pensare a Dio amandolo” - “oh! … vieni ad adorarti in me”! … “Sei TU … che da quell’ostensorio - irradi il tuo amore suoi miei amici Tuareg”
" SE UNA PARTE DI ME E' NEL CIELO PURISSIMO CHE SOVRASTA LE NUBI, SE IO RESTO IN UNA TERRA SEMPRE ILLUMINATA DAL SOLE E AL DI SOPRA DELLE NUBI, PERO' CON L'ALTRA PARTE IO AMO, IO DEVO AMARE, HO L'IMPERIOSO DOVERE DI AMARE APPASSIONATAMENTE GLI UOMINI"
RIPORTIAMO QUI UN DOCUMENTO D'ECCEZIONE: LA COMMEMORAZIONE DELLA MORTE DI CHARLES DE FOUCAULD FATTA DA CARLO CARRETTO
La sera del 30 novembre 1966 Bologna commemorò il 50° della morte di
Charles de Foucauld affidandone l’incarico a fratel Carlo Carretto. Offriamo
ai nostri lettori un estratto dell’intervento. Vedi testo integrale in «Jesus
Caritas» 1966/gennaio n. 25 e anche nel primo numero di gennaio 2016/n 141.
Mi sento veramente a disagio e indegno di parlarvi stasera di fratel
Carlo di Gesù, di parlarvi di questo gigante dello spirito, di
quest’uomo che seppe e volle prendere il Vangelo terribilmente
sul serio, di questo mistico sahariano che è stato assorbito
dall’Assoluto restando ore e ore immobile dianzi all’eucaristia, di
quest’apostolo capace di affrontare e di percorrere il deserto più arido,
stancando persino i cammelli, alla ricerca delle anime «le più abbandonate,
le più povere».
Eppure se una voce deve alzarsi questa sera in questa magnifica adunanza
di amici, vorrei che fosse una voce riconoscente; e la mia lo è certamente.
Sono stato tanto aiutato da lui! Una sera ho sentito venirmi incontro il
Padre de Foucauld, come per chiamarmi e, in tre minuti, ho deciso di essere
piccolo fratello: io che mai avevo sognato di farmi religioso, io che non ho
mai avuto il desiderio di abbandonare la mia vita di laico, la mia attività
di apostolo nel mondo. Sì, in tre minuti, la vigilia di san Carlo, Padre
de Foucauld mi chiamò a seguirlo sulle piste del Sahara. Non potrò mai dirgli
abbastanza grazie anche se, proprio per averlo conosciuto più profondamente
ho capito la distanza che esisteva ed esiste, tra la mia vita e la sua. Ma
parliamo di lui. […]
Mi pare di vederlo. «Ma non sai, cugina – scriveva alla de Bondy – che ho
avuto la tentazione di farmi musulmano? Una religione così semplice, senza
preti, direttamente in contatto con Dio…». Poi la scoperta del Cristo, Dio
fatto persona; l’innamoramento di Lui, la sete
d’imitarlo. Pensava quella sera alla sua entrata alla Trappa, la
sua vita nascosta dietro il muro della clausura, dove s’era rinchiuso per
cercare l’imitazione del suo amatissimo Fratello e Signore Gesù. Poi la
crisi: «Ho pensato che le nostre case sono troppo grandi, i nostri monasteri
troppo comodi. Come sogno un convento che non sia più grande di una casetta d’operaio,
non più grande della casa di Gesù a Nazaret!».
Una sera, proprio il suo superiore lo mise in crisi mandandolo fuori per
vegliare un arabo morto: è la prima volta che questo visconte, questo
finissimo uomo di cultura, si trova davanti al dramma del «terzo mondo»,
diremmo noi. Una povera cameretta fatta di mattoni di fango, un morto,
una donna e dei figli affamati, l’insicurezza sociale, la miseria, la
sporcizia. Carlo de Foucauld, dinanzi a quella realtà dice: «Questi – i
poveri – nel regno di Dio ci precedono. Noi abbiamo cercato il Cristo, e il
Cristo crocefisso nella sofferenza del mondo, ma siamo nella sicurezza del
convento. Questi poveri sono come delle foglie, senza pane, senza lavoro,
sbattuti nella tempesta. Signore, io voglio costruirmi una casa, un convento
che sia così, come la casa di un povero, come la casa di un operaio. Voglio
anch’io guadagnarmi il pane come un povero». […]
Chicco di grano fecondo
Così ripensava quella sera. Poi la prima “fraternità” di Beni Abbés, davanti
al grande deserto; la solitudine, la ricerca dell’Assoluto: «Gesù! Gesù! Ecco
questa finestra sul mondo, ecco questa finestra sul mistero di Dio!».
L’eucaristia. Questa piccola “ciambella” di pane schiacciato, il mistero di
Cristo crocefisso per amore dell’uomo. Il mistero di Cristo che rimane per
noi non tanto per essere adorato, ma per ricordarci che ci ama. «Voi farete
questo in memoria di me». Il memoriale della sua passione contenuto sotto il
segno del pane, il seme della resurrezione: «finché io ritorni voi farete
questo». È l’attesa. In quel piccolo disco – l’eucaristia – padre de Foucauld
vedeva l’amore di Dio per noi e vedeva come il testamento del ritorno di
Cristo tra noi.
«Ma allora, se Cristo ritorna, bisogna che io sia pronto a riceverlo!O
Cristo che ritornerai alla fine dei tempi e che qui in questo segno bianco
sei presente per testimoniare questo tuo ritorno, fa’ che io rimanga questa
notte a pregare con te. Voglio restare così, vigilante, dinanzi al tuo
mistero». Attorno è il deserto, il silenzio; più lontano il mondo
che pesa coi suoi peccati e che fa soffrire l’anima di questo mistico
sahariano. A un certo punto egli apre il vangelo e legge: “Se il chicco di
grano non muore resta infecondo”. «E io sono qui infecondo dinanzi al mondo
che muore, che soffre senza Cristo, fa’ che io percorra la terra e dia tutta
la mia vita per te e per le anime». “Se il chicco di grano non muore, non può
dare frutto”. «O Dio, io non son morto: è per questo che sono infecondo».
Siamo dinanzi a un uomo che non scherzava e che ha creduto sino in fondo
al vangelo. Era la vigilia del suo sacrificio. Il giorno dopo – primo
dicembre – sarà ucciso. Davanti al bordj di Tamanrasset
lascerà la sua vita, in modo eroico… il chicco di grano scenderà per terra e
la sabbia succhierà il suo sangue. Tutto è finito! Charles de Foucauld è
l’unico fondatore di ordini che non ebbe nemmeno un fratello con sé; chiese,
pregò, impetrò dal Signore che gliene mandasse almeno uno. Ebbene: morì solo.
«Ma forse è giusto – disse un giorno – che io paghi.
Forse è giusto che io, in questa solitudine sia qui, o Signore, per
impetrare, per gridare quest’amore delle anime e questo desiderio che ho di
radunare nel mondo dei piccoli fratelli, dei piccoli fratelli universali».
Stabilire un ponte d’amore
Dopo Francesco d’Assisi non c’era stato più nessuno così radicale come
padre de Foucauld. La sua intuizione è la stessa di Francesco. Sì, è vero:
molti l’hanno messo sulla stessa linea. Perché? Perché san Francesco non va
dai ricchi a cercar soldi, non va dai governi a cercar mezzi per risolvere il
problema dei poveri. No! Ci saranno altri santi che lo faranno, e degnamente,
e bene. Nella Chiesa esistono infinite varietà e ognuno ha il suo carisma.
Francesco dice: «No! Io non cerco di risolvere i problemi dei poveri, io
sono povero, vogli imitare Gesù povero!». Ecco, in questo padre de
Foucauld è sulla linea di san Francesco, e non tentò di risolvere il problema
dei poveri: vuole essere egli stesso povero. Ma sono passati
sette secoli, le cose sono cambiate: e come sono cambiate!
Il tempo di Francesco è un tempo in cui c’era una mano tesa: milioni di
uomini erano condannati all’accattonaggio, non c’era la sicurezza sociale,
non vi erano le pensioni; bastava una minima disgrazia, in quei secoli, e una
famiglia era buttata a mendicare. L’accattonaggio era un tale fenomeno così
che nessuno poteva pensare di risolvere, neppure i governi, nemmeno la
Chiesa. La Chiesa consigliava, spingeva i cristiani ad aiutare i poveri con
l’elemosina. Non v’era donna, nelle nostre campagne, che non fosse abituata a
ricevere ogni sera qualche accattone di passaggio, per indicargli un fienile
ove dormire. Ogni casa cristiana era un asilo per questi accattoni. Francesco
giunge, e fa lui l’accattonaggio. Perché? Perché, tra questa imitazione di
Gesù povero e i suoi fratelli dell’ultimo posto, vuole stabilire un ponte
d’amore.
Certo, noi siamo diventati romantici! Siamo capaci di una povertà
romantica e, in tempi in cui le cose sono cambiate, continuiamo a
fare le stesse cose di prima. Certo, per un frate, andare in giro in cerca
d’elemosina, in paesi amici e ricchi, in quella maniera, oggi è diventato un
romanticismo. Perché? Perché non ci sono più le condizioni storiche che
provocarono il movimento d’amore verso l’accattonaggio. Nella situazione di
chi sta sotto i ponti di Parigi, o, come nelle città dell’America del sud, in
quei tremendi luoghi di miseria del terzo mondi, il vivere d’accattonaggio
rappresenta un atto di eroismo! Vorrei vedere dei religiosi su quella strada!
Vorrei vederne: vi assicuro che quando ve ne vedo qualcuno, io mi alzo in
piedi, come davanti ad uno più coraggioso di me, perché è capace di fare
l’accattone in quella situazione autentica.
Come vorrei che nella Chiesa si stabilisse una corrente per cui ogni uomo
di Dio che si trova nelle campagne, e ne abbia il tempo, senta il bisogno di
scendere accanto a chi paga con il sudore della fronte, per passare qualche
ora nel lavoro. Come vorrei che nella corrente spirituale di oggi, ognuno di
noi sentisse il limite che deve dare al proprio campo e alla propria vigna.
Crearsi un limite alla propria vigna, riuscire a sentire la beatitudine della
povertà: il che significa che se la mia macchina è di scandalo al vicino io
la riduco, ma non gli do scandalo.
Come dice san Paolo: «Voi fratelli che venite a mangiare la cena del
Signore e gozzovigliate e vi ubriacate e offendete il povero che arriva e non
ha più nulla!». È proprio nella società cristiana del benessere che si è
dimenticato questo: il senso del limite. Oh, io non dico che
dobbiamo rinunciare e che la povertà significhi che il cristianesimo
dev’essere una religione di pitocchi! Non dico questo! Non credo che Gesù ci
neghi l’amore ad un quadro, che ci neghi l’amore ad un oggetto che ci piace,
di una casa messa su con garbo ed amore. Ma penso che dovremmo riuscire a
capire che, di tanto in tanto, la nostra anima è sollecitata ad un esame.
fratel Carlo Carretto
BIBLIOGRAFIA SU
CHARLES DE FOUCAULD
Charles de
Foucauld - opere spirituali- ed. paoline
Charles de Foucauld e
l’Islam di p.s. Annunziata ed. Qiqajon
Charles de Foucauld di p.s.
Annie ed. Qiqaion
Pensieri e parole di Charles de Foucauld ed. paoline
Charles de Foucauld:
un seme gettato nel deserto
H.Didier ed. Paoline
Charles de
Foucauld, verso Tammarasset di p.s. Antoine Chatelard ed. qiqajon
COME LORO
di René Voillaume ed. paoline
INSEGNACI A PREGARE meditazioni sul Salmi di Charles de Foucauld
a cura di Marcello Fidanzio ed. centro ambrosiano
“ STABILIRCI
NELL’AMORE DI DIO” meditazioni sul vangelo di Giovanni
a cura di Antonella Fraccaro ed. Glossa
Charles de Foucauld, Lettres à sa soeur Marie de Blic, 2005 in francese
PELLEGRINAGGIO NEI LUOGHI DOVE VISSE CHARLES DE FOUCAULD ORGANIZZATO INSIEME CON L'EREMO BETANIA ALGERIA NOVEMBRE 2011 |